Tra ritardi, rinvii e divergenze tra gli Stati membri, il mercato unico europeo è sempre più frammentato e alle imprese non resta che sperare in un recepimento guidato dal buon senso.
È passata la fatidica scadenza del 3 luglio, data di “partenza”, almeno in teoria, della Direttiva sui prodotti monouso in plastica. Direttiva che – ricordiamo – colpisce più di ogni altro il sistema industriale italiano: le nostre imprese, infatti, sono i maggiori produttori ed esportatori di questi prodotti e perderanno almeno un miliardo di euro di fatturato, che verrà sottratto al piatto della bilancia commerciale.
Al di là delle note conseguenze a livello industriale e sociale già da tempo inutilmente denunciate, oggi il clamore è suscitato dalla mancanza – in Italia così come in altri Paesi UE – del decreto di recepimento della Direttiva e da una dannosa e pericolosa frammentazione nell’applicazione del diritto europeo che potrà causare perdita di occupazione e di imprese.
Colpa, anche, della pubblicazione in forte ritardo – poco più di un mese fa – delle Linee Guida applicative della Direttiva -che avrebbero avuto il compito di dirimere i dubbi già noti al settore, ma così non è avvenuto. Né i tempi né i contenuti delle Linee Guida hanno concesso il tempo necessario agli Stati membri per recepire in modo coerente la Direttiva, e alle imprese per riorganizzare le proprie attività.
La direttiva sulle plastiche monouso è un atto legislativo peculiare che lascia ampio spazio di interpretazione ai legislatori nazionali. E così, tra interpretazioni dissimili di molti concetti cardine e la mancanza di un’unica, vera data di partenza in tutti gli Stati membri, alla fine risulterà impossibile preservare l'obiettivo dell'armonizzazione in tutta l'Unione europea. Auspicabile a tal riguardo un riesame dell’impianto della normativa europea, come pure auspicato dal nostro Ministro della Transizione ecologica.
Tutto ciò in un clima di incertezza e di instabilità derivante dalle conseguenze dell’emergenza pandemica che proprio nei momenti più critici ha fatto emergere il ruolo sociale di alcuni prodotti. E da qui la nostra richiesta alle istituzioni di limitare i danni, riconoscendo questo ruolo fondamentale dei prodotti monouso, almeno nei circuiti confinati di utilizzo, dove la gestione del rifiuto è un obbligo e non solo un’opportunità. Se l‘obiettivo della Direttiva è chiaramente vietare o ridurre ciò che si presta alla dispersione nell’ambiente, la nostra proposta avrebbe potuto rappresentare una soluzione per salvare un settore al quale oggi si chiede, nonostante i ritardi europei e nazionali e nonostante la pandemia con tutte le sue conseguenze -non da ultimo il rinnovato ruolo sociale delle plastiche monouso- una conversione di cui nessuno ancora riesce a declinare la congrua spiegazione, a meno che non si spieghi con un semplicistico “purché non sia fatto di plastica”.
La situazione contingente in Italia è affidata ad una “bozza di decreto di recepimento” e ad alcune dichiarazioni del Ministro della Transizione Ecologica che ha chiarito più volte che esiste la possibilità nel nostro ordinamento di beneficiare di una proroga di tre mesi del termine di esercizio delle delega fornita dal Parlamento al recepimento della Direttiva. La stessa bozza di decreto, che pare vedremo in Gazzetta Ufficiale nel prossimo autunno, prevede un periodo transitorio di 180 giorni per lo smaltimento delle scorte.
In questo frangente la Direttiva sembra essere destinata a trovare una sua effettiva applicazione solo quando comparirà in Gazzetta Ufficiale il connesso decreto di recepimento, almeno per quel che attiene a quelle disposizioni che non sono immediatamente applicabili senza ulteriori atti di carattere nazionale. Questo ovviamente limitatamente al territorio nazionale, mentre per il resto d’Europa bisognerà valutare caso per caso, i rispettivi atti di recepimento dei Paesi membri dell’Unione.